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La riforma delle pensioni, agevolazioni per le donne: via dal lavoro in anticipo

Roma, 23 settembre 2023 – L’Ape sociale verrà prorogata per tutto il 2024, ma per le lavoratrici si va consolidando l’orientamento a garantire un’agevolazione specifica (l’Ape donna) per rendere più flessibile e anticipata l’uscita. Si discute, tra ministero del Lavoro e Tesoro, su due incentivi: un anticipo ulteriore dell’età di accesso da 63 a 61-62 anni e uno sconto aggiuntivo sui contributi che si devono avere (oggi 30 o 36 anni) per usufruire del canale di uscita incentivato. Sempre, però, nell’ambito degli altri requisiti previsti per poter ricorrere a questa formula. E, dunque, vale la pena ricostruire il quadro di riferimento per individuare quali categorie di lavoratrici e a che condizioni potranno ottenere il via libera verso il pensionamento. La formula è utilizzabile oggi dai lavoratori dipendenti, pubblici e privati, da quelli autonomi e anche dagli iscritti alla Gestione separata dell’Inps, che si trovino in una delle seguenti condizioni. In primo luogo, devono essere lavoratori con almeno 63 anni di età e 36 di contributi che svolgono o hanno svolto attività “gravose” per almeno sei anni negli ultimi sette oppure per almeno sette anni negli ultimi dieci (come, a titolo di esempio, professori di scuola primaria, pre–primaria e professioni assimilate, tecnici della salute, magazzinieri, operatori dei servizi socio-sanitari, operai specializzati, artigiani, agricoltori, operai della siderurgia, addetti della chimica, della nettezza urbana, addetti alle catene di montaggio, operai edili e vi di seguito). In secondo luogo, si tratta di lavoratori con almeno 63 anni di età e 30 anni di contribuzione che siano stati riconosciuti invalidi civili di grado almeno pari al 74 per cento o che siano caregiver di 63 anni con 30 di contributi che assistono, da almeno sei mesi, il coniuge, la persona in unione civile o un parente di primo grado convivente con handicap. Da ultimo, ci si riferisce ai lavoratori disoccupati con almeno 63 anni di età e 30 anni di contributi. Per le lavoratrici è prevista attualmente una riduzione dei requisiti contributivi: un anno in meno per ciascun figlio nel limite massimo di 2 anni. E, dunque, si scende a 28 anni di contributi (anziché 30) o a 34 anni (anziché 36). Il governo, però, vorrebbe introdurre anche una riduzione dell’età di accesso al meccanismo con la diminuzione della soglia dell’età da 63 a 61-62 anni. Ma in gioco ci sarebbe anche la previsione di un possibile ulteriore sconto sui contributi richiesti nel caso del terzo figlio. Dunque, a conti fatti, se l’operazione dovesse andare in porto le lavoratrici che rientrano in una delle categorie indicate potrebbero poter andare in pensione o, meglio, ricevere l’assegno Ape a 61-62 anni di età a che con 34 o 28 anni di contributi. Salvo ulteriori agevolazioni per le lavoratrici con tre figli.Va considerato, però, che l’Ape sociale non è una vera pensione, ma un sussidio che accompagna il lavoratore fino all’età per la pensione di vecchiaia, pari all’ammontare dell’assegno previdenziale calcolato al momento dell’uscita dal lavoro. L’importo non può superare i 1.500 euro lordi mensili. All’età della pensione di vecchiaia si trasforma in trattamento pensionistico completo.Ma il pacchetto donna non si dovrebbe fermare a questa novità. Si delinea una possibile estensione di Opzione Donna, con l’eliminazione del vincolo dei figli. Ci sarebbe la fissazione della soglia di accesso a 58 anni (e non 60), a prescindere dal numero dei figli delle lavoratrici. Ma resterebbe la limitazione legata alle categorie: solo per caregiver, invalide al 74 per cento, licenziate o occupate in imprese in crisi. Il rovescio della medaglia sarebbe, però, sempre costituito dal calcolo contributivo della prestazione, con la conseguenza del taglio del 20 per cento dell’assegno.

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